top of page
Antonio Nicita

Il rispetto del silenzio elettorale nel rumore del web

Da diversi anni, in occasione delle campagne elettorali si apre il dibattito circa l’applicabilità di talune norme sulla propaganda elettorale al web e, in particolare, ai motori di ricerca e ai social network. Gli uffici dell’Agcom mi hanno informato che arrivano molte segnalazioni sul rispetto del silenzio elettorale, basate sull’errata convinzione che sia l’Autorità a dover vigilare su di esso. In realtà, secondo una prassi consolidata, l’Agcom, chiamata a vigilare sull’accesso dei soggetti politici al mezzo radio-televisivo nel corso della campagna elettorale, non ha competenza su quanto accade dalla mezzanotte del venerdì precedente le elezioni, momento in cui termina, appunto, la campagna elettorale. La competenza è delle prefetture, articolazione territoriale del Ministero dell’Interno e del Governo.

Sul silenzio elettorale vale quanto previsto da una composita normativa, in particolare l’art. 9 della Legge 4 aprile 1956, n. 212 e l’art. 9 bis, introdotto con il Decreto Leggedel 6 dicembre 1984, n. 807. L’articolo 9 recita: “Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda. Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall'ingresso delle sezioni elettorali. È consentita la nuova affissione di giornali quotidiani o periodici nelle bacheche previste all'articolo della presente legge. Chiunque contravviene alle norme di cui al presente articolo è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire 50.000 a lire 500.000”.

Secondo l’articolo 9 bis, “nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni è fatto divieto anche alle emittenti radiotelevisive private di diffondere propaganda elettorale”.

Molti osservatori, notando l’esplicito riferimento dell’art. 9 bis ad un particolare mezzo trasmissivo (le emittenti radiotelevisive), escludono l’applicabilità al web del silenzio elettorale, in assenza di un altrettanto esplicito richiamo del legislatore. Il punto che, tuttavia, mi pare degno di nota - ma la mia è una posizione personale - non è tanto l’applicabilità al web dell’art. 9 bis, e dunque l’equiparazione del web alle emittenti radiotelevisive, quanto piuttosto l’applicabilità al web dell’art. 9. La riflessione da svolgere riguarda, dunque, l’equiparazione del web, e segnatamente di motori di ricerca e social network, ai “luoghi pubblici o aperti al pubblico”, menzionati nella norma.

A differenza dei palinsesti radiotelevisivi, e della relativa responsabilità editoriale, i motori di ricerca e i social network si caratterizzano infatti per una comunicazione molti-molti, per un accesso ‘universale’, dal basso, alle informazioni non riservate a gruppi chiusi di utenti e per la partecipazione, di utenti e produttori di contenuti, ad un pubblico ‘indistinto’.

Occorre allora comprendere se questa caratterizzazione del web, in particolare di motori di ricerca e social network, permetta in esso la individuazione di un “luogo pubblico o aperto al pubblico”. Al riguardo ci viene incontro una corposa e consolidata giurisprudenza in merito a pronunce relative a reati di diffamazione su motori di ricerca e social network. Molte di queste pronunce, infatti, insistono nel descrivere i social network come “luoghi pubblici”, “agorà digitale”, “luogo di accesso a un pubblico indistinto”.

Ad esempio, la Corte di Cassazione, sezione I penale, nella sentenza dell’11 luglio 2014 n. 37596, precisa che "in diritto, l'espressione 'luogo pubblico o aperto al pubblico' secondo dottrina e giurisprudenza consolidate sta a indicare: per luogo pubblico, quello di diritto o di fatto continuativamente libero a tutti, o a un numero indeterminato di persone; per luogo aperto al pubblico, quello, anche privato, ma al quale un numero indeterminato, ovvero un'intera categoria, di persone, può accedere, senza limite o nei limiti della capienza, ma solo in certi momenti o alle condizioni poste da chi esercita un diritto sul luogo”. Il testo della sentenza continua specificando che “sembra innegabile che la piattaforma sociale Facebook (disponibile in oltre 70 lingue, che già ad agosto del 2008 contava i suoi primi cento milioni di utenti attivi, classificata come primo servizio di rete sociale) rappresenti una sorta di agorà virtuale. Una 'piazza immateriale' che consente un numero indeterminato di 'accessi' e di visioni, resa possibile da un evoluzione scientifica, che certo il legislatore non era arrivato ad immaginare. Ma che la lettera della legge non impedisce di escludere dalla nozione di luogo e che, a fronte della rivoluzione portata alle forme di aggregazione e alle tradizionali nozioni di comunità sociale, la sua ratio impone anzi di considerare”.

Ancora, in un’altra sentenza si afferma che: “un messaggio [diffamatorio] attraverso l'uso di una bacheca 'facebook’ ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, perché attraverso questa 'piattaforma virtuale' gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione” Cass., Sez V ,14 novembre 2016 n. 4873.

La cassazione penale (Cass. pen n. 16262/2008) specifica che “il sito web sul quale viene effettuata l’immissione [è] per sua natura destinato ad essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti” “i siti web , atteso che l’accesso ad essi è solitamente libero e, in genere, frequente (sia esso di elezione o meramente casuale), di talchè la immissione di notizie o immagini in rete integra la ipotesi di offerta delle stesse in incertam personam e dunque implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato (ma difficilmente accertabile) di utenti”. Ancora, nella sentenza n. 40083/2018 (Cass. pen. Sez. V) si afferma che “la pubblicazione di contenuti su una 'bacheca' facebook, infatti, costituisce una forma di comunicazione con più persone utilizzando tale social network”.

Sono solo alcuni esempi. Ma da essi si evince, a mio avviso, che se un social network viene qualificato “luogo pubblico” o “aperto al pubblico” nell’ambito della identificazione del reato di diffamazione, esso può ben essere qualificato come tale con riferimento al contesto comunicativo nel quale è vietata la propaganda politica nel periodo di silenzio elettorale, ai sensi di quanto specificato nell’art.9 della legge 4 aprile 1956, n. 212. Inoltre, la circostanza che “la pubblicazione di contenuti su una ‘bacheca’ Facebook [… costituisce una forma di comunicazione con più persone utilizzando tale social network”, configura anche l’elemento della “riunione” in luogo pubblico.

Se questa mia personale ricostruzione fosse corretta, ciò significherebbe che, a normativa vigente, l’obbligo di silenzio elettorale varrebbe anche su social network e motori di ricerca, in ragione della natura di luogo pubblico di quella forma di comunicazione. D’altra parte, la mancanza di contestazione di violazione da parte delle prefetture, sembrerebbe rivelare che la ricostruzione che ho qui proposto, a titolo personale, sia da considerarsi errata. Il che tuttavia porrebbe un tema di qualificazione contraddittoria o dicotomica di social network e motori di ricerca come “luogo pubblico”. Chi metterà la parola fine a questo interrogativo?

Altra questione è quella dell'attualità di tutte queste normative al mutato contesto comunicativo. Ma questa è un'altra storia.

bottom of page