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Antonio Nicita

Consumatori, Mercato e 'spinta gentile'


(Pubblicato su IlSole24Ore del 30/6/2015.) Negli ultimi vent’anni anni, le liberalizzazioni delle industrie a rete nei paesi Ocse si sono focalizzate sulle politiche dal lato dell’offerta. Ci si è basati, cioè, sul presupposto che, con l’abbattimento delle barriere all’entrata, la libertà di scelta di consumatori razionali avrebbe poi sostenuto e alimentato il processo concorrenziale.

Da tempo, tuttavia, i dati dimostrano da un lato che le posizioni dominanti sono difficili da eliminare e dall’altro che solo una parte dei consumatori tende a sostituire il fornitore abituale. Ciò ha posto i regolatori di fronte al problema della concorrenza dal lato della domanda, a partire dall’analisi dei fattori che frenano la mobilità dei consumatori.

Il primo è la mancata razionalità del consumatore, ovvero la capacità di conoscere le proprie preferenze, anche intertemporali, di calcolare bene le conseguenze delle scelte, di massimizzare la propria ‘utilità’. Se, infatti, il consumatore non è in grado di muoversi verso le offerte più convenienti, la concorrenza sul mercato ne risulta diminuita.

Ma l’analisi econometrica e l’economia comportamentale e sperimentale dimostrano anche l’esistenza di un altro fattore, il cosiddetto status quo bias o inerzia: anche di fronte a un possibile miglioramento sul mercato, il consumatore potrebbe sopravvalutare la posizione esistente e rinunciare a cambiare. Non sono dunque soltanto i tradizionali costi di transazione o di switch a frenare la mobilità dei consumatori, ma anche le loro caratteristiche cognitive, l’attitudine nei confronti del rischio e dell’incertezza, la preferenza nei confronti dell’occupazione del proprio tempo (che ci fa rinviare a domani le noiose pratiche per il cambio operatore) e persino la distrazione (che ci fa dimenticare di mandare avvisi o disdette per tempo).

Di fronte alla dimensione behavioral del consumatore, si pongono quindi nuove sfide per chi deve definire le regole di protezione o di stimolo (empowerment) del consumatore. Sicuramente aiutano la semplificazione delle procedure di cambio dell’operatore e la trasparenza delle offerte, inclusa l’informazione circa le proprie attitudini al consumo. Più complessa è l’individuazione di misure regolatorie univoche sui ‘diritti’ (default) in caso di variazione delle condizioni contrattuali.

Ad esempio, cosa fare quando un consumatore, specie nei contratti di lunga durata, vede cambiare la propria offerta nei prezzi, nei volumi o nella qualità? E’ più efficiente fissare regole di tipo opt-in (senza consenso si viene trasferiti ad un’offerta simile a quella passata) o di opt-out (si deve esprimere il consenso per rinunciare alla nuova offerta vigente)? Oppure, ancora, bisogna fissare dynamic default, indicando soglie al di là delle quali scatta l’opzione (di opt-in o opt-out)?

La risposta non è univoca, perché l’attitudine all’inerzia può impedirci sia di ‘uscire’ da offerte non convenienti sia di ‘entrare’ in offerte migliorative. Ne deriva che regole favorevoli ad alcuni non lo sono necessariamente per altri. La scelta operata dal regolatore deve quindi essere ponderata perché può discriminare tra diversi tipi di consumatore. E non è detto che le imprese non reagiscano poi strategicamente a nuovi vincoli regolatori.

Una risposta ragionevole l’ha allora suggerita Cass Sunstein, con la sua formulazione di un ‘paternalismo liberale’. Non un ossimoro, ma il disegno regolatorio di una ‘spinta gentile’ (nudging) al consumatore inerte, fatta di trasparenza informativa, semplificazione delle offerte e combinazione flessibile di diverse opzioni (mixed default). Non un’unica regola ottima di default, dunque, ma un insieme di misure da applicare e verificare progressivamente, caso per caso, alle diverse tipologie di consumi e di consumatori.

Se ha ragione Sunstein, come sembra, anche i regolatori avranno presto bisogno di una spinta gentile per superare i limiti dell’approccio tradizionale alla tutela dei consumatori.

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